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Le tentazioni nella comunicazione

Facciamo testa o croce? Si, ma attenzione alle regole del gioco. La comunicazione è un ponte che unisce le rive, non ci sono scorciatoie. Vero, Erri De Luca?
di Federico Niola

di Federico Niola

07 Febbraio 2022

Tempo di lettura

4 minuti

di Federico Niola

di Federico Niola

07 Febbraio 2022

Tempo di lettura

4 minuti

Partirei dal presupposto che io sono responsabile di quello che dico ma anche un po’ di quello che capisci tu. Detto diversamente, la comunicazione è un gioco di società che fa affidamento sulla collaborazione e sul rispetto di regole che suddividono la responsabilità in parti uguali. Disegnata su un foglio bianco, dovrebbe avere l’aspetto di un ponte tra due rive. È stato Erri De Luca a farmi notare che riva e rivalità hanno la stessa radice e che, di conseguenza, per il potere che ha di unire, il ponte sia l’unica opera architettonica davvero civile, cordiale dice lui.

Scorciatoia? Meglio di no

Sul ponte non ci sono scorciatoie, quando crediamo di averne presa una, magari per attraversare prima degli altri, stiamo inconsapevolmente imboccando un vicolo cieco. Mesi fa, l’imprenditore digitale Marco Montemagno ha deprecato in un video l’uso social che le ragazze fanno della propria immagine. Immagino che la slavina di reazioni che l’ha investito abbia dato la pelle d’oca ai social media manager di mezza Italia. Dobbiamo stare molto attenti a ciò che diciamo e a come lo diciamo perché nell’era digitale quello che dici alle 14.00 alle 14.05 ha già fatto il giro del mondo e ti torna indietro a pieno carico. Col risultato che il ponte non regge.

Stand by mode ON

Le scorciatoie sono il grande campo dei bias cognitivi e delle euristiche. Sembra fiorito e invece è minato. Mettiti nei panni del tuo cervello che, per sopravvivere a decine di migliaia di decisioni al giorno, va molto in modalità di risparmio energetico, proprio come i computer, che infatti ti avvertono: guarda che in questa modalità moltissime operazioni non saranno compiute.
Le euristiche sono decisioni automatizzate, d’impulso. Sono una risorsa ma hanno una controindicazione che si chiama bias cognitivo. Ce ne sono molti e il marketing lo sa bene. Il testimonial, per esempio, sfrutta il bias chiamato halo effect per rendere plausibile un Kevin Costner nello spot del tonno Rio mare o un Gianluigi Buffon in quella dello shampoo. Ma già negli anni ’80, lo slogan piace alla gente che piace con cui Lancia pubblicizzava la Y10 funzionava e funzionare è l’unica cosa che deve fare uno slogan. Niente di male, la comunicazione è ad effetto, ma dietro c’è il prodotto – la Y10 ebbe grande successo.

Esercizi di superficialità

Montemagno ci è cascato, come tutti noi ogni giorno. I social abbondano di eloquenti vittime del bias del pavone che sembrano i pubblicitari di se stessi: vite meravigliose, successi strepitosi, tutto iper, super e mega. Mega come megalomania. Ma il rischio del bias non è comprare un’automobile che non volevi.
Punteresti 50 euro in autogrill al gioco delle tre tavolette? Diffidi dei ciarlatani ma giocheresti con un amico a testa o croce perché è tutto in chiaro, non c’è trucco, se io ti dicessi «giochiamo a testa o croce, testa vinco io, croce perdi tu», giocheresti. E perderesti perché con testa vinco io, con croce perdi tu e te l’ho persino detto.
Le euristiche (conosco già le regole del testa o croce e non sto attento quando me le spieghi) possono ingannarci. La comunicazione, a qualsiasi livello, specialmente quella di chi vuole qualcosa da noi, è un ponte che ha un solo senso e una sola direzione, dalla tua riva a quella dell’altro.

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